domenica 21 agosto 2011

COME RIDURRE IL DEFICIT DI BILANCIO DELLO STATO

Il debito pubblico italiano: come ridurlo

Premessa

Ridurre il debito pubblico italiano, debito che si è formato negli anni per finanziare parte della spesa pubblica è, oggi, un aspetto importante per poter affrontare con maggiore serenità le difficoltà del momento e quelle che il futuro potrebbe ancora riservarci. Non è prudente infatti affrontare i poco rosei scenari ipotizzabili oggi per il futuro partendo con un vincolo così pesante. I debiti, come si sa, vanno onorati ed hanno anche un costo; costo che concorre ad utilizzare le sempre scarse risorse esistenti, e che quindi entra in competizione con la necessità di far fronte agli altri squilibri sociali esistenti. Non è ragionevole pensare di poter spendere oggi e rimandare il pagamento alle future generazioni aumentando ulteriormente il già elevatissimo debito pubblico. Non è inoltre pensabile di poter ridurre drasticamente e velocemente la spesa pubblica senza analizzare caso per caso quale sarebbe l’impatto sugli equilibri sociali e sulla qualità della vita. Infine, non è nemmeno ipotizzabile aumentare semplicemente il prelievo fiscale poiché, tale politica, si ripercuoterebbe per diversi aspetti sul funzionamento dell’economia e sulla nuova ricchezza prodotta. Con queste riflessioni cercherò di mettere in evidenza come si possono trovare soluzioni di tipo strutturale alla riduzione del debito pubblico percorrendo strade innovative rispetto a quanto sull’argomento si è sentito dire fino ad oggi.

Ridurre la complessità

E’ evidente come innanzi tutto occorrerebbero interventi normativi e organizzativi finalizzati a ridurre la complessità del sistema amministrativo, sociale ed economico.

All’aumentare della complessità nelle relazioni sociali si abbiano effetti sempre più negativi in termini di qualità dell’esistenza. La complessità nel sistema delle relazioni, superato un certo limite, determina comportamenti degli individui improntati dall’insicurezza, dall’indecisione, dalla paura, dall’incomprensione. Tutto ciò non fa certamente bene alla qualità della vita, all’economia e neppure alla democrazia. Non vi è dubbio che, almeno nel nostro Paese, la soglia della complessità gestibile sia stata superata. Sono evidenti i segni di una asocialità diffusa e di comportamenti individualistici completamente incoerenti con una azione politica attenta al bene comune delle attuali generazioni e di quelle future, azione questa quanto mai necessaria. I problemi andrebbero risolti man mano che si presentano altrimenti la loro soluzione è destinata ad aggravarsi. Essi non vanno sempre e soltanto assicurati, ignorati, differiti nel tempo, scaricati ad altri e non vanno nemmeno affrontati in modo velleitario o dilettantistico.

Quando il sistema delle relazioni sociali è molto complesso diventa poco comprensibile il suo funzionamento e spesso chi con il proprio comportamento produce danni non si rende conto di essere la causa degli squilibri e, inoltre, non è chiamato a risponderne. I danni prodotti complicano ulteriormente il sistema delle relazioni sociali in un processo destinato ad autoalimentarsi. A volte i problemi vengono affrontati solo quando all’improvviso esplodono in tutta la loro gravità. E’ la pigrizia o la comodità o la ricerca continua delle cose piacevoli che portano a rimandare la presa di coscienza dei problemi esistenti. In tal caso può accadere che l’urgenza del problema, di cui si acquisisce tardivamente consapevolezza, ci costringa a pensare ed a trovare soluzioni semplificatrici nel nostro modo di vivere. Tuttavia sarebbe meglio e più semplice intervenire prima che i problemi esplodono.

Una delle cause della complessità del sistema delle relazioni sociali è data dalla eccessiva integrazione e specializzazione dei rapporti economici. Mangiare cibi prodotti nel proprio territorio, essere autosufficienti nella misura del ragionevole, riduce di molto la complessità e i rischi connessi alle specializzazioni ed alle integrazioni che dette specializzazioni concorrono a determinare.

Ci si preoccupa più di far fronte agli squilibri piuttosto che alle cause che hanno portato agli stessi.

Non è la cura dei sintomi che porta alla soluzione del problema, ma è la comprensione delle cause e l’intervento sulle stesse. Per comprendere bene pensiamo ad una branca importante della scienza, la medicina. E’ sbagliato curare una febbre semplicemente somministrando una medicina per abbassarla, la guarigione vera si ottiene intervenendo sulle cause che hanno portato alla medesima. Gli esempi possono essere numerosissimi. Una ipertensione curata con pillole giornaliere piuttosto che con l’attività motoria o con la corretta alimentazione. Insomma la medicina sintomatica andrebbe sostituita con la medicina che identifica e rimuove le cause dei malesseri. Pensiamo ad esempio ad un mal di testa . Qualunque sia la causa del medesimo l’industria farmaceutica ti proporrà una medicina la quale a volte curerà gli effetti altre volte curerà le cause apparenti della malattia, ma non farà nulla, non è il suo compito, per curare le vere cause della malattia che sono i comportamenti sbagliati di vita e il degrado dell’ambiente in cui l’ammalato vive. Naturalmente in certa misura di ammalati ve ne saranno sempre considerato che le malattie sono anche espressione della evoluzione naturale dell’organismo .

Allo stesso modo si procede nelle altre scienze, in particolare nelle scienze sociali. La gestione degli squilibri finalizzata a contenere o regolamentare gli effetti negativi di disfunzioni strutturali, non fanno certamente bene né all’economia né all’amministrazione sociale. La gestione degli effetti o dei sintomi rende sempre più complessa l’amministrazione delle relazioni sociali. Ne deriva che, insistendo su tale via, sarà sempre più difficile analizzare, comprendere e intervenire sulle vere cause che hanno dato origine agli squilibri stessi. Inoltre la mancata visione d’insieme che ne deriverà sarà foriera di errori crescenti, errori che porteranno ad un ulteriore crescita della complessità. Dobbiamo cambiare il modo di pensare affrontando tempestivamente e con professionalità le cause dei problemi emergenti Solo una società limitatamente complessa, cioè basata sul piccolo e sull’ autogoverno, è compatibile con la democrazia, con la libertà e con la possibilità di rimediare alle cattive decisioni prese in passato.

Da dove origina la complessità?

Pensiamo alle logiche economiche. Il comportamento dell’imprenditore, che non potrebbe essere diverso, è quello di far fronte con i propri servizi alla domanda espressa dai bisogni esistenti. L’imprenditore non è certamente interessato a fornire un servizio risolutivo del bisogno poiché dalla soddisfazione dei bisogni trova il proprio campo di azione per realizzare i propri profitti; se inoltre analizza le cause che hanno portato al bisogno, lo farà solo per rafforzarlo o per prevederne l’evoluzione nel tempo. La rimozione delle cause, è evidente, rientra nelle funzioni della politica.

La politica, se mossa dall’obbiettivo di provvedere al bene comune delle attuali e delle future generazioni, indirizzerà il mondo del lavoro con interventi normativi condizionanti l’azione economica alla soluzione dei problemi, cioè a rimuovere le cause che li hanno prodotti.

Noi abbiamo ereditato la terra dalle generazioni che ci hanno preceduto non per consumarla e distruggerla. Con che diritto potremmo farlo? La terra dobbiamo lasciarla integra alle nuove generazioni. Tuttavia sono evidenti le difficoltà della politica ad assolvere alla propria funzione a motivo della complessità del sistema socioeconomico e culturale esistente. Quale politico infatti metterebbe in atto iniziative di riorganizzazione sociale e cioè interventi onerosi mirati a rimuovere le cause dei problemi visto che tali iniziative comporterebbero un prezzo da pagare per gli elettori di oggi a favore degli elettori di domani?

Il risultato sarà che il politico farà solo quelle cose che nell’immediato, e spesso solo in apparenza, soddisfino le esigenze di gente non più consapevole e padrona di se, di gente la cui insicurezza è seconda solo alla voglia di sotterrare il più profondamente possibile l’angoscia derivante da una esistenza umiliante. Questo politico penserà solo al proprio potere e, vista la situazione, si limiterà a mescere altro vino ad un ubriaco che è suo interesse mantenere tale.

La complessità se non viene combattuta con consapevolezza e decisione porta al disordine sociale e civile ed è, in ogni caso, incompatibile con la democrazia.

Tutto ciò probabilmente parte dai condizionamenti sociali prodotti dal tipo di sviluppo economico e di organizzazione sociale determinato dalla presenza e dall’attività delle grandi e delle grandissime imprese. Per chi ha investito enormi capitali specializzandosi nella produzione di certi beni e servizi non è possibile modificare la propria attività in termini economici. I grandi investimenti devono continuare a lavorare poiché, se non danno un contributo al conseguimento di reddito, in futuro si trasformano in costi di esercizio e determinano gravi perdite. Per evitare tutto questo le grandi imprese finiscono col mettere in atto nuovi investimenti di tipo pubblicitario per condizionare i potenziali clienti, in modo tale che essi continuino ad acquistare i soli beni e servizi che la grande impresa si è organizzata a produrre. Tuttavia anche le piccole imprese, come già detto, si occupano dei bisogni esistenti e non di quelli che potrebbero essere espressi da una comunità orientata allo sviluppo equo e sostenibile della propria economia.

E’ difficile stabilire la composizione quali quantitativa dei bisogni espressi da un consumatore non alienato, essendo diversa la sensibilità di ognuno, ma è indubbio che gran parte dei bisogni espressi attualmente dai consumatori sono il frutto di un condizionamento culturale (bisogni indotti), dell’organizzazione dell’economia e della società, cioè in sostanza di quella complessità nel modo di vivere che si è allontanata troppo dalle esigenze espresse dalla nostra natura.

E’ chiaro che semplificare non vuol dire correggere comportamenti naturali ma piuttosto il contrario; si tratta cioè di assecondarli, sia pure tenendo conto di quella pulsione spirituale caratteristica dell’uomo che lo porta alla ricerca continua di una nobilitazione e quindi ad un cambiamento evolutivo.

La complessità produce incomprensione, quindi insicurezza. Favorisce comportamenti individuali e conservativi. Rafforza l’egocentrismo culturale indebolendo il senso di socialità e di appartenenza alla propria comunità. Porta a una grande confusione nella quale è difficile anche per le persone di buona volontà concertare i propri sforzi per produrre miglioramenti sociali. Lo smarrimento conseguente crea angoscia esistenziale, fa perdere la fiducia nel prossimo, la speranza di una vita migliore, il senso del sacro. La disperazione che ne consegue porta a soffocare la coscienza con psicofarmaci, droghe e false libertà. Non può esserci democrazia in un sistema troppo complesso. L’economia ne risente in modo drammatico. Lo spreco delle risorse è immenso. La produttività delle risorse in termini di soddisfacimento di bisogni reali è bassissima, molti non lavorano, altri svolgono lavori che non sarebbero di alcuna utilità se il sistema non fosse quello che è, altri ancora lavorano male, pochi infine lavorano per il bene della comunità facendo cose utili e facendole bene.

Bisogna assolutamente ridurre le complessità inutili, dannose e soffocanti.

Come fare? La regola è questa: imparare ad amministrarsi[1], tutti. Occorre cioè capire il sistema di relazioni sociali, economiche e politiche e le sue dinamiche non solo a livello locale ma a livello globale. Inoltre occorre imparare ad amministrarsi anche a livello personale e questo è possibile quando è chiaro ciò che si desidera e ciò che si può fare tenendo presente la disponibilità di tempo. Esempi di attività economiche che hanno concorso a determinare la capacità di auto amministrarsi sono quelle artigiane e quelle agricole[2]. Molti dedicano gran parte del loro tempo, se non tutto quello a loro disposizione, a questioni di scarso rilievo ed anche a crearsi nuovi problemi .

A livello locale occorre essere attenti ai segnali di squilibrio o di disagio e chiedersi sempre quale ne è la vera origine. Una volta comprese le cause e i condizionamenti prodotti dal contesto internazionale occorre intervenire velocemente nei limiti possibili.

I problemi non affrontati alla radice e rimandati per ignoranza o debolezza morale sono destinati a diventare sempre più difficili da risolvere ed è questa la peggiore eredità che potremmo lasciare ai nostri figli, quella di non avere avuto coraggio, quella di non esserci preoccupati di loro.

Senza una visione d’insieme non si possono trovare le soluzioni ai problemi. Per questa ragione molte volte ci sorprendiamo nell’osservare come problemi importanti che ammettono una soluzione non vengono affrontati. A volte chi propone soluzioni concrete a problemi complessi viene trattato come un superficiale che si azzarda a proporre soluzioni mosso dalla sua superficialità o incompetenza. Ma non è sempre cosi poiché esiste anche il caso di chi ha una visione completa del problema ed ha la volontà e la capacità di proporre la soluzione.

Costui, se non è una autorità riconosciuta, non verrà preso in considerazione perché accettare le sue proposte sarebbe come riconoscere la propria ignoranza o mettere a nudo la propria mala fede.

Per ridurre le complessità è bene risparmiare risorse naturali e valorizzare quelle umane. Un’ area di possibile intervento è quello di smetterla nella misura del possibile con l’economia dell’usa e getta. Produrre oggetti durevoli di alta qualità in modo da risparmiare materie prime, energie, capitali investiti, e in modo da diffondere l’attività lavorativa dei riparatori, una categoria di lavoratori questa che trae dal proprio lavoro un particolare riconoscimento morale e intellettuale.

L’apertura dei mercati non regolamentata, come quella che stiamo vivendo, aumenta la complessità sociale. Essa crea problemi sociali ed economici dovuti a un processo troppo intenso e veloce di riorganizzazione dell’economia. Le sfide sono necessarie per rafforzarsi,certamente, ma quando lo scontro non è superabile producono effetti distruttivi.

Se il sistema economico, sociale e culturale italiano non riesce ad esprimere un efficiente sistema amministrativo del Paese e un vitale sistema economico, si avranno effetti peggiorativi della situazione. Come non pensare infatti a un possibile scenario nel quale vi sia una crescente perdita di posti di lavoro a seguito della più conveniente delocalizzazione all’estero delle attività produttive, considerato anche l’incremento del flusso delle immigrazioni composto in gran parte da disperati che lottano per la sopravvivenza? Come non pensare in tal caso che si perverrà ad una riduzione delle entrate fiscali a seguito dell’impoverimento del sistema economico accompagnata da una forte richiesta di sostegno allo Stato da parte delle categorie più bisognose? Aumenterà il numero dei salariati a basso potere d’acquisto, la precarietà del rapporto di lavoro, le esigenze degli emigrati, il costo dell’assistenza sanitaria anche a motivo dell’allungamento della vita.

Lo stato non potrà far fronte al disagio di dette categorie. E’ ragionevole prevedere una stagione di conflitti e odi sociali, se non razziali, con conseguente caduta della qualità dei rapporti sociali, con gravi rischi per la democrazia e con aumento del costo della sicurezza sociale. Occorre evidentemente ripensare il tipo di globalizzazione. Che cosa fare per ridurre la dipendenza dall’estero?

Perché non specializzarsi nell’allevamento di ovini e bovini utilizzando gli immensi territori semi abbandonati dell’area appenninica e non solo?. Otterremmo carne che attualmente importiamo, lana per l’ industria tessile che importiamo, pelli per l’industria delle scarpe dello abbigliamento che importiamo e potremmo dare impiego a numerosi lavoratori. Perché non consentire a tutti quelli che hanno i requisiti di spazio l’installazione gratuita di pannelli solari? Il costo dell’iniziativa verrebbe rimborsato nel tempo con l’energia prodotta. Si darebbe impulso ad una grande industria di produzione ed alle attività di installazione. Si ridurrebbe grandemente il fabbisogno di energia che importiamo. Il petrolio dell’Italia, come detto, è il sole. Perché non abbassare, se non annullare totalmente, il costo dei trasporti pubblici per gli utenti? I vantaggi sarebbero enormi, tutto un settore di attività legato ai mezzi pubblici e ai mezzi di trasporto andrebbe convertito ad altre produzioni a spese ovviamente della comunità. Finirebbero molti lavori inutili come quello di produrre autovetture in misura cosi massiccia. Dove non esiste il mezzo pubblico di trasporto può supplire il taxi a prezzi politici. La macchina privata potrà ovviamente essere sempre acquistata facendo però pagare agli acquirenti i costi sociali dell’inquinamento e della rete stradale. Tutto ciò sembra assurdo ma è più assurdo vedere file immense di automobili che si muovono sempre più lentamente, magari con un solo passeggero a bordo. Risparmieremmo benzina, ridurremmo l’inquinamento, le città sarebbero più vivibili, la salute della gente migliorerebbe. Non ci sono alternative.

Perché non intervenire sostenendo in parte il costo degli affitti e il tasso d’interesse dei mutui contratti per l’acquisto della prima casa di tipo popolare? Questo intervento ridurrebbe i costi fissi delle famiglie, la pressione sui salari, favorendo in tal modo la competitività del Paese.

L’energia solare, il trasporto pubblico gratuito, il sostegno agli affitti e sui mutui ridurrebbero i costi fissi. La riduzione dei costi fissi è un obbiettivo in sé; i costi fissi condizionano pesantemente le nostre scelte di vita e ci rendono più vulnerabili alle crisi economiche, sociali e famigliari.

Per ridurre la complessità è fondamentale da un lato diffondere una cultura del merito e della auto amministrazione, dall’altro che vengano prodotte norme amministrative chiare ed essenziali. Cioè occorre produrre poche leggi e soprattutto occorre farle rispettare. La non comprensività delle leggi complica grandemente il sistema delle relazioni. Si pensi solo al funzionamento della giustizia e come a volte ci si debba difendere perfino dai propri avvocati. Inoltre si pensi al carcere preventivo e ai tempi di amministrazione della giustizia. Il carcere preventivo, determinato da esigenze di sicurezza sociale, non può limitare per troppo tempo la libertà, la dignità e gli interessi dell’inquisito, troppo spesso un innocente in attesa per i tempi troppo lunghi della giustizia. I ritardi nella giustizia civile hanno un impatto negativo sull’economia sé non altro perché allontanano gli investimenti dall’estero. Un esempio molto valido della riduzione della complessità e quello deliberato dall’attuale governo in merito alla riduzione degli adempimenti amministrativi e del carico fiscale per i soggetti svolgenti lavoro autonomo con redditi inferiori ai 30 mila euro.

Come ridurre il debito dello Stato

E’ questo oggi un tema di grande attualità poiché, attraverso le finanze statali e degli altri enti pubblici, passano gran parte degli impegni a sostegno della spesa sociale che, in tempi di grave crisi, è importante e difficile regolamentare. Lo Stato, i soldi che impiega nella spesa sociale, li raccoglie mediante il prelievo fiscale o l’indebitamento. Come direttore del Laboratorio di Ricerche Economiche e Sociali (LA.R.E.S.) e come amministratore di Terre di Confine, una società di consulenza che si occupa di crisi aziendali e di valutazione delle nuove iniziative economiche, di fatto una società di rating per le piccole imprese, non posso esimermi dal rendere pubbliche le mie analisi e le mie terapie per cercare di proporre soluzioni volte al risanamento finanziario dello Stato italiano, il cui debito pubblico ha raggiunto negli anni livelli altissimi in seguito alle politiche economiche adottate. Il lavoro seguente, è in gran parte maturato in ricerche precedenti già pubblicate sul volume Per un’Armonia dell’Economia ormai giunto alla XIII edizione e sui quaderni di Terre di Confine.

La qualità del debito degli Stati viene misurata evidenziando il quoziente ottenuto dal rapporto tra debito pubblico e P.I.L. Con questo scritto indicherò come è possibile intervenire per migliorare, riducendolo, il quoziente ottenuto dal suddetto rapporto.

Non è possibile tuttavia affrontare questo importante tema economico senza precisare alcune cose e precisamente:

  • Al denominatore di questo rapporto vi è il PIL che è un parametro utilizzato per misurare la ricchezza prodotta in un Paese in un dato periodo. Ebbene tale parametro, per le ragioni da me indicate in una ricerca precedente[3] è del tutto inadeguato a misurare la reale ricchezza prodotta in un dato periodo in un Paese. Rimando pertanto alla lettura del medesimo per avere una migliore comprensione di ciò che seguirà.
  • E’ evidente come anche i sistemi di rilevazione dei redditi prodotti, che sono alla base non solo delle scelte di politica economica, ma anche di gran parte del prelievo fiscale, non sono adeguati. La politica economica e il prelievo fiscale dovrebbero tenere in considerazione non solo e non tanto i redditi prodotti di pertinenza privata, ma anche i cosiddetti costi e benefici sociali[4]. Non è la stessa cosa tassare due redditi allo stesso modo perché d’importo equivalente se il reddito prodotto in un caso determina anche benefici sociali e non crea costi sociali, mentre nel secondo caso ciò non avviene.
  • Poiché l’amministrazione pubblica dello Stato e delle Comunità locali ha un costo crescente al crescere della intensità e della complessità dei fenomeni da amministrare, ritengo importante anche una formazione culturale ed un’organizzazione amministrativa basate sui principi della auto amministrazione[5][6] e del decentramento amministrativo[7]. Si tratta in altri termini di recuperare gli insegnamenti che ci sono venuti dal mondo dell’artigianato e dal mondo dei piccoli imprenditori agricoli. L’attività dei coltivatori diretti è molto importante ai fini del controllo della qualità dell’alimentazione e conseguentemente della salute. E’ noto a tutti quanto incida il costo della sanità sulle spese sociali dello Stato. Il sostegno alle attività artigianali e l’attenzione posta alla qualità dei prodotti agricoli ed alla lavorazione dei medesimi, non solo favoriscono l’economia, la dignità dei lavoratori e il benessere collettivo, ma definiscono anche la missione che nell’attuale contesto internazionale può avere la nostra Nazione: il Paese della qualità, della libertà, della dignità dei lavoratori, della bellezza e del rispetto della natura. Queste politiche consentirebbero anche di rafforzare le culture di luogo che si sono formate negli anni con gli insegnamenti importanti che le varie generazioni hanno ritenuto di dover trasmettere ai propri figli. Come ridurre quindi il debito pubblico? Il debito pubblico può ovviamente essere ridotto eliminando le spese inutili e privilegiando quelle produttive, quando ciò è possibile ovviamente, rispetto a quelle improduttive.
  • Un altro sistema è quello di ridurre la spesa sociale laddove è possibile. Facciamo subito un esempio. L’Italia è come noto un Paese di anziani, di proprietari di case e formato da famiglie con un numero basso di figli. Come giusto, quando un cittadino anziano si trova in difficoltà economiche, interviene l’assistenza pubblica, ad esempio erogando pensioni sociali a chi non ne possiede alcuna. Mi chiedo: perché non accordare la pensione sociale (o un vitalizio) in cambio dell’acquisizione della nuda proprietà della casa posseduta dall’anziano indigente? Mi sembra una soluzione molto logica e giusta. Perché la Comunità dovrebbe sostenere con un vitalizio un anziano indigente il quale poi alla sua morte lascerebbe a qualche lontano parente l’eredità della casa di sua proprietà? Lontano parente che non si prende cura in alcun modo dell’anziano visto lo stato di indigenza che lo porta a chiedere la pensione sociale. Talvolta la richiesta della pensione sociale avanzata dalla persona anziana e non abbiente viene rigettata a motivo del possesso da parte del richiedente di un immobile, spesso frazione di un’abitazione ricevuta in eredità. In questo caso si spinge il richiedente ad alienare la sua proprietà per provvedere alle proprie esigenze finanziarie. Il messaggio è il seguente: Vendi ciò che possiedi e trovati un’abitazione in affitto. Ritengo questo diniego moralmente e socialmente inaccettabile, poiché non è la stessa cosa lasciare l’abitazione, luogo sacro dei propri affetti rispetto alla soluzione da me indicata che è quella di trasformare il valore della nuda proprietà in un vitalizio o in una pensione sociale. E’ differente la soluzione da me prospettata in termini di qualità della vita, dignità della persona, e buona amministrazione delle relazioni sociali. Insomma, la soluzione da me proposta non solo consente di ridurre il debito pubblico ma anche di ampliare l’assistenza sociale a quanti si trovano attualmente in difficoltà ad ottenerla. Questo intervento, molto logico e giusto, consentirebbe allo Stato di alleggerire grandemente il suo esborso per le pensioni sociali poiché, divenendo nudo proprietario delle abitazioni[8] migliorerebbe la qualità della vita dell’anziano; l’anziano a sua volta, mantenendo l’usufrutto dell’abitazione, non verrebbe sradicato dalla medesima per essere sistemato in una “casa di riposo”, ed inoltre, in cambio della cessione della nuda proprietà, acquisirebbe anche le risorse monetarie a lui necessarie per vivere. Un altro effetto positivo sarebbe quello di ridurre la spesa dello Stato per la costruzione di case popolari o di case per il ricovero degli anziani, nonché per il personale di servizio necessario per provvedere alle esigenze degli anziani ospitati nelle strutture di ricovero. Per quanto riguarda le finanze pubbliche, esse potrebbero riequilibrarsi con l’alienazione ad altri delle nude proprietà acquisite alimentando in tal modo un mercato, quello della nuda proprietà che, a mio giudizio, rappresenterebbe una alternativa molto valida ai canali di investimento attuali nei quali vengono convogliati i risparmi; si avrebbe quindi un ulteriore vantaggio per l’economia e si favorirebbe la propensione al risparmio da parte di coloro che, non potendo permettersi di acquistare la proprietà di un’abitazione, potrebbero limitarsi al presente ad acquistare la nuda proprietà di un’abitazione, sapendo da un lato di poterla alienare quando desiderano, e dall’altro che ad essa potrebbe aggiungersi in futuro anche il diritto di abitazione: il che equivarrebbe a divenire il pieno proprietario dell’abitazione.
  • Un altro esempio di come ridurre il debito pubblico contenendo la spesa sociale è quello della utilizzazione dei disoccupati, sostenuti in vario modo dalla spesa pubblica, dando ad essi una occupazione in lavori di pubblica utilità[9]. Si tratta di istituire delle liste di mestiere nelle quali accogliere i disoccupati ed appositi uffici tecnici di controllo in modo tale che le varie amministrazioni pubbliche possano ridurre le proprie spese utilizzando personale e tecnici competenti per far fronte alle varie necessità[10]. Un altro esempio riguarda la trasformazione volontaria della pena detentiva in anni di servizio civile o di volontariato. Quanti soldi si risparmierebbero riducendo da un lato il costo delle strutture detentive e dal’altro beneficiando del lavoro ottenibile tra persone che con la reclusione ad essi imposta soffocano non solo le proprie capacità lavorative ma anche la propria dignità personale.
  • Un’altra iniziativa che porterebbe ad una maggiore produzione di ricchezza e ad una riduzione del debito pubblico è quella di favorire le attività degli artigiani e dei cosiddetti riparatori. Si pensi alla quantità enorme di persone che hanno abbandonato le numerosissime attività artigianali negli ultimi decenni da quando l’economia basata sulla qualità e sulla piccola dimensione e sull’alta intensità di capitale umano si è trasformata in una economia “dell’usa e getta”, economia quest’ultima, come noto, ad alta intensità di capitali investiti in apparati produttivi costituiti essenzialmente da macchinari. E’ chiaro che è l’economia “dell’usa e getta” che ha creato migliaia di disoccupati. Se l’obiettivo della politica economica è quello di ridurre l’indebitamento dello Stato e quindi ridurre la disoccupazione, perché non eliminare l’I.V.A. sui lavori fatti dai riparatori? Sarti, calzolai ecc… Creiamo le condizioni perché i prodotti ben fatti, destinati a perdurare, possano continuare a farlo. Nel volume Per un’Armonia dell’Economia che raccoglie gran parte delle ricerche svolte dal LA.R.E.S. si perviene alla conclusione che un’economia dell’armonia può essere ottenuta puntando sulla qualità dei prodotti e dei servizi, sul risparmio delle risorse naturali, sulla utilizzazione ottimale delle medesime e sull’utilizzo dell’unica vera straordinaria risorsa a disposizione di tutti e cioè la capacità di pensare con la propria testa e di auto amministrarsi. La cultura artigianale ci ha insegnato questo e va recuperata. Torniamo a recuperare i laboratori artigianali, vere e proprie scuole di mestiere, e favoriamo coerentemente agli obiettivi di politica economica perseguiti l’apprendistato. Perché far pagare i contributi sociali che un artigiano è costretto a versare all’apprendista suo allievo, quando egli in fondo si sostituisce ad una funzione che altrimenti verrebbe svolta dalle scuole professionali con risultati non altrettanto validi e il cui costo graverebbe su tutti noi?
  • Occorre rendere più competitivo il tessuto imprenditoriale italiano in gran parte costituito da piccole e piccolissime imprese. Per fare ciò occorre non tanto puntare sulla grande dimensione che snaturerebbe l’energia vitale e la missione propria delle piccole imprese quanto, piuttosto, favorire la costituzione di reti tra piccole imprese nella tradizione dei distretti industriali, che hanno avuto un ruolo determinante nello sviluppo della realtà italiana ed in particolare di alcune regioni quali le Marche. E’ necessario inoltre modificare la cultura sociale prevalente che è quella dell’assistenzialismo pubblico per far fronte alle difficoltà e ritrovare l’impronta culturale che l’artigianato, la cultura contadina, ci hanno trasmesso e cioè quella capacità di auto gestione ed auto amministrazione così importanti per ridurre alla radice il sorgere delle problematiche sociali. Sempre preliminarmente è necessario rafforzare la capacità gestionale ed amministrativa dei nostri piccoli imprenditori, i quali spesso distruggono, commettendo errori che avrebbero potuto essere evitati, il valore dei propri investimenti accumulato negli anni. A questo proposito mi sembra legittimo far presente come Terre di Confine, la società che amministro, si è fatta da tempo carico di fornire ai piccoli imprenditori, specie quelli chiamati alla successione nella gestione d’impresa, le competenze richieste per impostare correttamente e vantaggiosamente le gestioni d’impresa.
  • Un’altra risorsa straordinaria a disposizione sono le abitazioni, spesso abbandonate al degrado più totale, dei paesini e delle frazioni distribuiti in gran parte dell’Italia appenninica e alpina. Perché non recuperare tale potenziale abitativo allo scopo sia di favorire l’insediamento di anziani, di migliorare la qualità della vita dei medesimi e di ridurre il costo dell’assistenza sociale da parte degli enti pubblici.

Ai fini del raggiungimento degli obiettivi di politica economica: massima occupazione e sviluppo reale della ricchezza del Paese è opportuno ripensare anche la composizione del prelievo fiscale. Se vogliamo ritornare ad una economia di qualità l’incremento dell’I.V.A., cioè dell’imposta sui consumi, può essere utile. Condivido inoltre l’idea di tassare maggiormente i redditi prodotti dalle rendite finanziarie e immobiliari, che sono qualitativamente meno importanti dei redditi prodotti dall’ingegnosità lavorativa di quanti hanno avviato in proprio una piccola attività economica. Mi chiedo inoltre, essendo questa una situazione di crisi straordinaria, se non sia il caso di imporre un’imposta straordinaria sui redditi prodotti dalle operazioni speculative, dalle scommesse sul corso dei titoli, dei cambi, dei tassi di interesse, dei prezzi delle materie prime, realizzati in questi ultimi anni dalle banche e dalle società finanziarie operanti in borsa. Non dovrebbe essere difficile risalire ai suddetti profitti. Questa crisi è stata determinata dalla finanza ed è giusto che la finanza dia un suo contributo per superarla. Queste maggiori entrate dovrebbero essere utilizzate per alleviare il carico fiscale di quanti, soprattutto piccoli e piccolissimi imprenditori, hanno avviato e cercato soluzioni in proprio alle difficoltà generali del momento. E’ evidente a tutti che i comportamenti virtuosi non devono essere penalizzati. Perché inoltre non premiare le piccole iniziative economiche che hanno dimostrato di saper competere a livello internazionale ottenendo risultati economici positivi fatturando percentuali significative a clienti esteri ed operando con un’alta intensità di costo del lavoro (cioè creando opportunità di lavoro a quanti vivono in Italia).

Concludendo il ripensamento della spesa pubblica e del prelievo fiscale possono essere utili strumenti per raggiungere gli obiettivi di reale sviluppo dell’economia nell’attuale contesto. Occorre tuttavia preliminarmente fare chiarezza sui sistemi della contabilità nazionale. Non è possibile infatti avviare una valida politica economica se non si ripensa il modo di rilevare il contributo che ognuno, e in particolare le imprese, con la loro attività, danno al bene comune. Inoltre un sistema di rilevazione della ricchezza prodotta non può non tenere conto alcuno del lavoro svolto in famiglia, del valore dei servizi prodotti dal volontariato (in Italia esistono più di un milione di persone che si dedicano al volontariato) nonché l’autoconsumo, cioè le produzioni agricole fatte per il consumo personale ecc…, tutte attività queste che non concorrono a determinare il valore della ricchezza prodotta perché non determinano uno scambio monetario (cioè servizi contro moneta).

Per dare nuovo impulso allo sviluppo reale dell’economia, sviluppo oltretutto compatibile con la dignità degli individui e la qualità della vita occorre puntare sul piccolo quindi: artigianato, riparatori, piccoli imprenditori agricoli, su piccole e piccolissime imprese, sui modelli culturali e sociali. Ritengo che alla base del turismo vi sia più la ricerca di scoprire nuovo e armoniosi modi di vivere che bellezze ambientali. Anche l’esportazione dei nostri prodotti si avvantaggia dell’immagine della qualità della vita e dell’armonia che la nostra organizzazione sociale e dell’economia, e in definitiva culturale, ha saputo produrre.



[1] Per approfondimenti consultare il quaderno n°9: “Imparare ad autoamministrarsi”.

[2] Per approfondimenti consultare il quaderno n°17: “La cultura artigianale ovvero l’artigianato ci salverà”.

[3] Per approfondimenti consultare la XII edizione del volume “Per un’Armonia dell’Economia” a pagina 61 e seguenti.

[4] Per approfondimenti consultare la XII edizione del volume “Per un’Armonia dell’Economia” a pagina 67 e seguenti.

[5] Per approfondimenti consultare il quaderno n°9: “Imparare ad auto amministrarsi”.

[6] Per approfondimenti consultare il quaderno n°17: “La cultura artigianale ovvero l’artigianato ci salverà”.

[7] Per approfondimenti consultare il quaderno n°18: “Potere e libertà”.

[8] Per approfondimenti consultare il quaderno n°10: “La dignità dell’anziano”.

[9] Per approfondimenti consultare il quaderno n°15: “La disoccupazione: come contrastarla”.

[10] Per approfondimenti consultare il quaderno n°1: “Il risanamento di bilancio degli enti pubblici”.

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