domenica 21 agosto 2011

UN NUOVO APPROCCIO ALLA TEORIA DEI CICLI ECONOMICI

Un nuovo approccio alla teoria dei cicli economici: cultura ed economia

Con questo lavoro intendo soffermare l’attenzione sulle relazioni esistenti tra modi di pensare, attività esercitate e fasi del ciclo economico. L’attività economica come è possibile osservare si evolve nel tempo con un susseguirsi di cicli economici. Un ciclo economico è caratterizzato da diverse situazioni o fasi. Indichiamo tali fasi con i termini :

  1. crisi;
  2. ripresa;
  3. buon andamento economico.

Nel corso della trattazione mi soffermerò in particolare sui fattori e sui comportamenti che porteranno al passaggio da una fase all’altra del ciclo.

Crisi

Iniziamo dalla crisi. L’illustrazione delle caratteristiche di un’economia in crisi e i disagi prodotti dalla stessa non richiede una particolare attenzione, essendo esse, attualmente, sotto gli occhi di tutti. In generale, comunque, dal punto di vista economico si può sostenere che la crisi porta ad una non ottimale utilizzazione delle risorse economiche e, in particolare, del fattore lavoro umano di cui ho scritto in una precedente riflessione[1]. Ci porremo invece altre domande, ad esempio:

  1. come mai di fronte alle difficoltà alcuni sono pronti a “rimboccarsi le maniche” mentre altri si aspettano di essere serviti da iniziative altrui? (si consideri la diffusa cultura dell’assistenzialismo)

  1. Quali sono i fattori che portano a dare l’avvio al superamento della stessa?

A me sembra che entrambe le domande possano trovare risposta nel tipo di cultura lavorativa che si è prodotta con il succedersi delle generazioni nei vari Territori. Ad esempio la cultura che noi marchigiani abbiamo ereditato dalle generazioni che ci hanno preceduto è una cultura del tipo: “le difficoltà vanno affrontate direttamente da chi le subisce andando alle radici delle medesime cogliendone le cause che le hanno determinate e intervenendo al fine rimuoverle o di evitarne il ripetersi”. Nella Terra dove la mezzadria, l’artigianato, San Francesco e il Rinascimento, hanno lasciato una loro impronta culturale l’atteggiamento ereditato dalle precedenti generazioni è improntato al senso di responsabilità sociale, al rispetto dell’ambiente e all’acquisizione delle professionalità necessarie per un buon governo dell’economia e della società. Un altro aspetto importante di quest’eredità culturale è la convinzione che molto spesso siamo noi stessi, coi nostri comportamenti, la causa delle difficoltà e degli squilibri che dobbiamo fronteggiare.

Le categorie di lavoratori indicate affrontavano le difficoltà della vita e del lavoro chiedendosi innanzi tutto: “dove ho sbagliato?” e, dovendo assicurare a se e alla propria famiglia la sopravvivenza, erano attivi nel prestare attenzione ai cambiamenti in corso al fine di poter provvedere alle proprie necessità. Questo atteggiamento viene alimentato e rafforzato proprio dalla crisi e questo mette in evidenza quella che potremmo chiamare la faccia buona della medesima e cioè i comportamenti virtuosi e le potenzialità che la crisi concorre a ripristinare.

Per quanto riguarda le potenzialità lavorative e di nuove iniziative economiche prodotte dalla crisi si è detto a parer mio troppo poco. Dunque, per chi è abituato a pensare con la propria testa come i soggetti economici di cui si è detto, la crisi è una straordinaria fucina di potenziali iniziative economiche. La domanda che continuamente affiora nella mente di chi è abituato a pensare con la propria testa e ad affrontare i problemi è la seguente: “vista la situazione di difficoltà del momento quali nuovi prodotti o quali nuovi servizi sarebbero utili alla gente?”. Ecco che il continuo porsi questa domanda porta alla nascita dell’idea imprenditoriale. Chi è abituato ad auto amministrarsi, a questo punto, conoscendo anche le proprie potenzialità e abilità lavorative, si porrà una seconda domanda: “sono io in grado di realizzare personalmente la suddetta idea imprenditoriale[2] ?” Se la risposta fosse negativa a ragione di qualche carenza di tipo professionale, il soggetto di cui stiamo parlando si pone una terza domanda: “cosa posso fare per acquisire le competenze professionali e di mestiere che non possiedo?”. Ecco quindi un altro aspetto positivo della crisi. Poiché la cultura corrente, figlia probabilmente fase del benessere del ciclo, determina atteggiamenti del tipo “è meglio l’uovo oggi che la gallina domani”, e cioè è portata a rimandare i problemi nel tempo, ad affrontarli superficialmente e/o parzialmente, ad assicurarli e soprattutto a cercare di scaricarli ad altri, avviene che la comodità che ispira tutti questi comportamenti, ritarda l’avvio del processo di superamento della crisi.

Se quanto detto è corretto, per chi è abituato a pensare con la propria testa la crisi diventa una grande opportunità per avviare nuove attività lavorative. Tuttavia non è sufficiente essere abituati a pensare con la propria testa, occorre anche aver sviluppato uno spirito autocritico ed un’umiltà che porta a determinare qual è stato il nostro ruolo nel determinare la crisi che stiamo subendo.

E’ questa una condizione molto limitante poiché tutti sappiamo quanto è difficile correggere i nostri errori e quanto invece sia diffusa l’abitudine di addossare sempre ad altri la responsabilità delle cose, dei fatti e delle circostanze spiacevoli. Insomma ci vuole umiltà, aspetto questo non certo favorito dall’eredità culturale lasciata dalla fase del benessere dell’economia.

Inoltre alcuni individui possono trarre dalle difficoltà la sfida e l’opportunità che gli consentano di dimostrare a se e agli altri le proprie capacità e la propria forza d’animo.

Anche per quanti non sono abituati a pensare con la propria testa e per quanti non sono stati educati ad affrontare le difficoltà la crisi può produrre effetti benefici nel senso che dovrebbe spingerli ad una maggiore serietà e ad un approfondimento dei propri modi di pensare e di agire, cioè la riflessione che costoro possono fare è la seguente: “mi trovo in difficoltà e non ho preso iniziative mie per evitare che ciò avvenisse”. Non pensate anche voi che questo potrebbe essere il necessario presupposto per modificare i propri comportamenti?

Se così fosse, allora la crisi sarà stata di benefico anche nel senso che spingerà altri individui a vivere e lavorare avendo maggior consapevolezza delle proprie azioni e quindi a migliorare l’ottimale utilizzo delle risorse. Costoro saranno obbligati a riflettere sulla seguente asserzione di cicerone : “nihil sine magno vita labore dedit mortalibus” (la vita non da nulla ai mortali senza grande sacrificio).

Anche sull’uso delle altre risorse (natura e capitali) la crisi può produrre degli insegnamenti nel senso che l’uso non sufficientemente utilitaristico delle suddette risorse va evitato, cioè, occorre chiudere le attività che si sono dimostrate distruttrici di risorse più che creative di ricchezza oppure svolte senza la professionalità necessaria.

Ripresa

Quanto detto può essere l’avvio della fase successiva del ciclo economico cioè quella della ripresa. Tuttavia i tempi del passaggio dalla prima fase del ciclo alla seconda non sono sempre gli stessi poiché sono influenzati grandemente dalla permanenza del modo di pensare che si è formato nella fase del benessere economico. Ritengo che tanto più forte e marcata è la cultura dell’assistenzialismo e delle comodità acquisita durante la fase del benessere economico tanto più duro sarà il passaggio dalla fase della crisi alla fase della ripresa. L’assistenzialismo è una malattia grave dell’economia; nasce dal dovere morale di far fronte a situazioni di disagio non accettabili dal punto di vista della coscienza civile e sociale dell’uomo di oggi. Tuttavia quando esso diventa il rimedio a tutti i mali in realtà si trasforma come nella causa di tutti i mali. I problemi non si risolvono con il denaro (soprattutto degli altri) ma si risolvono affrontandone le cause e mettendo in atto comportamenti che eliminino definitivamente le cause dei vari problemi. Non è diventando tutti statali che si risolvono i problemi. Alla fine non è lo Stato che paga ma siamo tutti noi. Ecco quindi che per pagare meno bisogna lavorare meglio e tutti, facendo le cose utili e evitando soprattutto noi stessi, con i nostri comportamenti, di essere la causa dei suddetti problemi.

La durata di transizione dalla fase della crisi alla fase della ripresa sarà tanto più breve quanto maggiore è la cultura al problem solving e del fai da te, come ad esempio avviene nella Regione Marche. Ecco quindi che, se quanto detto è ragionevole, emerge su cosa bisogna puntare per superare la crisi e per pervenire ad una reale ripresa dell’economia.

Nel caso della Regione Marche ritengo necessario partire rivalorizzando l’attività svolta nei laboratori artigianali, e nel contempo puntando sulla qualità dei prodotti e dei servizi prendendo le distanze il più possibile dalla cosiddetta economia dell’usa e getta. Oltretutto una politica economica finalizzata a valorizzare l’attività dei laboratori artigianali fornisce un contributo notevole in termini di benefici sociali: minore disoccupazione, attività di formazione non a carico dello Stato, conservazione e trasmissione delle conoscenze di mestiere acquisite.

Conseguentemente a quanto detto la ripresa è in qualche misura determinata da automatismi che la crisi stessa mette in movimento, ma è anche un fatto culturale al quale ci si può preparare per tempo orientando i mestieri e le professioni a raccogliere le cause degli squilibri esistenti e non limitarsi agli effetti delle medesime come fa ad esempio certa medicina che è più medicina dei sintomi che medicina delle cause. Occorre inoltre un rafforzamento morale inteso come impegno a cercare di dare il meglio di se e inteso come responsabilità sociale, cioè conciliazione tra gli interessi privati e il perseguimento del bene pubblico come base del proprio impegno lavorativo. Non può esserci una rinascita economica e civile senza una forte rinascita morale. Se è così la lotta alla crisi assume i connotati di una rinascita morale e culturale.

Buon andamento economico

E’ evidente che la ripresa porterà dei benefici nell’uso delle risorse e quindi al desiderato benessere. Tuttavia anche il benessere come la crisi sembra abbia due facce. Sembra cioè che il benessere protratto per lungo tempo porti ad una caduta di attenzione verso il futuro che si sta costruendo e conseguentemente ad una deresponsabilizzazione sociale. Non sembra anche a voi che il benessere è padre di figli poco piacevoli? :

  1. la comodità;
  2. l’egocentrismo;
  3. uno scarso impegno qualitativo nell’attività svolta;
  4. l’utilizzo dei risparmi creati con il proprio lavoro e di quelli accumulati precedentemente dai familiari.

La stagione del benessere determina caratteristiche comportamentali ben note. Innanzi tutto l’aumentato potere di acquisto che il benessere determina viene impiegato in consumi e non in risparmi. Vi è la diffusa convinzione infatti che se le cose vanno bene oggi andranno bene anche domani. Perché quindi non abbandonarsi alle comodità ed alle piacevolezze prodotte da un aumentato potere di spesa quando non si è disturbati da preoccupazioni particolari per il futuro?

Il fiume della cultura della comodità sfocia nella cultura del denaro. Il denaro diventa il parametro supremo metro di valutazione non solo delle merci e dei beni scambiati ma anche della persona (dimmi quanto guadagni e ti dirò quanto vali). Ne consegue l’aberrante mercificazione dell’essere umano e l’erronea convinzione che l’economia si regga sulla disponibilità di capitali piuttosto che sull’impegno lavorativo degli individui. Sul piano dei comportamenti civili, si rafforza il desiderio di acquisire ricchezza con giochi e scommesse quindi è il concetto che l’accumulo di ricchezze possa sorgere da un qualificato e prolungato impegno lavorativo, fonte di risparmi, che viene meno.

Si potrebbe anche sostenere che la cultura prodotta dall’economia del benessere si avvicini alla particolare cultura mercantile. Cultura questa molto diversa dalla cultura imprenditoriale dell’artigiano, del coltivatore diretto e del piccolo imprenditore. La cultura mercantile si può rendere bene con questa immagine: “sono bravo perché sono riuscito a vendere un bene del tutto inutile ad un alto prezzo”. Più alta è la differenza tra il prezzo realizzato dal mercante e il valore reale dei beni da lui ceduti più alta sarà la soddisfazione del mercante perché ciò starà a misurare la sua capacità mercantile. A questo proposito mi vengono in mente due espressioni della tradizione calabrese: “la fine normale della volpe è nel negozio del pellettiere” ed anche “i buoi si tengono per le corna, l’uomo onesto si tiene per mezzo della parola data”. Al contrario la cultura dell’artigiano, una particolare cultura imprenditoriale, mette grandemente in risalto la qualità dei beni costruiti e l’impegno lavorativo nonché la bravura tecnica da lui impiegata nel realizzarli.

Di fronte a cambiamenti che possono mettere in difficoltà la vita degli altri e delle future generazioni e che sarebbe possibile fronteggiare, troppa gente si chiede: “ma a me chi me lo fa fare?”. E’ chiaro che chi è superbo e orgoglioso farà fatica a porsi la domanda “dove ho sbagliato?” quando viene a trovarsi di fronte a difficoltà. Nella mia esperienza lavorativa e di ricercatore ho potuto constatare che le persone umili, cioè quelle disposte a riconoscere i propri errori, possono pervenire a traguardi di conoscenza e di professionalità straordinariamente elevati, anche se all’inizio del loro percorso formativo sono particolarmente fragili e impreparati. Al contrario, chi è molto dotato intellettualmente o possiede altre abilità finisce con l’essere risucchiato nella palude della propria superbia e del proprio orgoglio e pertanto non perverrà mai a livelli di eccellenza.

Conclusioni

La crisi è paragonabile ad una malattia infettiva la cui aggressione stimola la produzione di anticorpi da parte dell’organismo aggredito. Come ogni malattia infettiva essa può essere fronteggiata da un lato con comportamenti di vita corretti e dall’altro rafforzando le difese immunitarie (nel caso dell’economia essenzialmente educando le persone ad auto amministrarsi e a ricercare le cause delle difficoltà riflettendo soprattutto sulla relazione esistente tra il proprio modo di pensare e di agire e le cause stesse). Ne deriva che, alla domanda: “lei ritiene che usciremo dalle difficoltà del presente?”, la risposta sarà: “certamente, perché così avviene di norma. Tuttavia non si può nemmeno escludere che alla dura crisi possa seguirne un’altra e ciò a motivo dell’accresciuta complessità del sistema produttivo e tecnologico al quale siamo pervenuti. Pensiamo alle incertezze ed ai rischi, non tutti prevedibili e governabili, collegati alla produzione di energia nucleare”.

E’ evidente a tutti come l’economia, così come ogni altra costruzione, debba basarsi sulla qualità reale del prodotto e non su qualità apparenti o presunte.

L’economia governata dalla cultura delle speculazioni è un’economia che conosciamo fin troppo bene: è quella che ha portato alla gravissima crisi economica, sociale, civile e morale che stiamo attraversando. Tuttavia mi piace fare questa osservazione: i comportamenti furbi non solo non consentono di costruire un solido edificio sociale e portano a costruzioni precarie ma, a lungo andare, non portano vantaggi a nessuno, inclusi quanti coloro li mettono in atto. Perché il furbo possa trarre vantaggio dai suoi incivili comportamenti occorre che agisca in una società di persone oneste e laboriose; egli in tale situazione potrà arricchirsi sottraendo ad altri la ricchezza da essi prodotta. Tuttavia la furbizia è come una malattia contagiosa poiché sempre individui nel vedere premiato il comportamento incivile dei furbi rispetto a quanti si sono comportati correttamente, finirà con l’essere attratto anche lui dal modo di agire dei disonesti. Tuttavia vi è un limite all’espansione della cultura dei furbi. Quando ogni individuo si comporterà un po’ per ingordigia un po’ per autodifesa in modo da trarre il massimo beneficio dal lavoro e dai sacrifici altrui, allora non vi sarà più spazio per i comportamenti opportunistici, e ciò per la semplice ragione che pochi saranno i produttori di ricchezza e tanti saranno quelli che vorranno sedersi gratuitamente alla sua tavola. Insomma, la furbizia istituita a sistema comportamentale porta a non creare più nuova ricchezza, a sprecare risorse ed a rendere sempre più difficile la costruzione di una società civile nella quale noi e i nostri figli possiamo degnamente sperare di vivere.

Fatte queste osservazioni mi viene da chiedere: “chi è il responsabile della crisi?”. Per la gente, vista la cultura corrente sicuramente sono gli altri, o meglio qualcun altro che è particolarmente odioso, a causa dell’invidia che spesso influenza i giudizi e i comportamenti degli individui.

Sono di cultura socialista e ho quindi una visione della società basata sulla dignità, sul rispetto e sul riconoscimento sociale da dare ai lavoratori, tuttavia, come ogni altro lavoratore che si è impegnato da sempre per produrre ricchezza, risparmiarla ed utilizzarla per far fronte alle proprie necessità future gravando il meno possibile sull’assistenza sociale mi chiedo: “non esiste forse un comunismo o un socialismo dell’invidia?”. Una volta ho sentito dire da una persona che non si era mai impegnata ad acquisire la casa di abitazione contraendo come fanno la maggior parte delle persone un mutuo e sottoponendosi quindi a un risparmio forzoso ed ad un impegno lavorativo assillante che “tanto si sa che chi possiede la casa di abitazione, con quello che costano, non può essere che un evasore fiscale od uno che ha rubato ad altri dei soldi”. Che offesa all’onesto e serio lavoratore!!!

Questo fatto di cui riferisco mette in luce, a mio giudizio, la grave carenza culturale che è alla base della nostra educazione civile. Onoriamo quanti con il loro sacrificio hanno saputo provvedere alle proprie esigenze, a quelle della famiglia, gravando il meno possibile sulla comunità di appartenenza. Non possiamo considerare tutti i ricchi come se fossero dei ladri. E’ troppo comodo nascondersi dietro questa falsità per mascherare le propria inadempienze e/o fallimenti. Sul piano etico e morale ognuno di noi è responsabile per il contributo che potrebbe dare al bene comune e che non ha dato.

Di Attilio Giampaoli

[1] Per un approfondimento si veda il Quaderno n°15 “La disoccupazione: come contrastarla

[2] A questo proposito risulta utile l’approccio suggerito da Luca Pacioli, uno dei primi studiosi di economia aziendale, il quale suggerisce a quanti desiderano avviarsi all’attività mercantile di rispettare i seguenti assiomi:

1. la fatica nel perseguire legittimamente i propri obiettivi;

2. la sincerità nello svolgimento delle operazioni;

3. la capacità di “valutare e controllare” i risultati raggiunti;

4. l’umiltà di ammettere i propri errori;

5. il coraggio di assumersi le proprie responsabilità;

6. la “capacità di spendersi” dando così l’esempio agli altri;

7. la “giustizia” nel riconoscere che sul mercato coesistono interessi plurimi potenzialmente in conflitto.

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